lunedì 4 dicembre 2017

Zio Titus risolve un caso - Terza e ultima puntata

E Hans e Konrad, non potrebbero somigliare a questi?
Ed eccoci finalmente alla conclusione della nostra storia. Probabilmente Titus Andronicus Jones risolverà il caso... ma riuscirà anche ad eguagliare il suo vulcanico nipote in quanto a intelligenza e abilità? Lo sapremo subito. Francamente spero che qualche altro lettore si affianchi ad Arthur Robertson e a P.A. Mirabelli, e che questo blog possa tornare a pubblicare fanfiction originali e divertenti  in quantità. Intanto, se volete rileggere quelle pubblicate  in precedenza, cliccate qui. Siamo ai saluti. Buon divertimento a tutti e arrivederci (speriamo) a presto! 





3

Titus mise le mani sui fianchi e aspettò i due tipacci fermo in mezzo alla strada, con aria risoluta. Entrambi gli uomini avevano un folto paio di baffi grigi, collegati con le basette. Come aveva temuto, erano armati: quando gli si fermarono davanti uno tirò fuori una pistola e gliela puntò contro. Titus cercò di mantenere un’aria sicura:
− È inutile, ragazzi! Dalla cabina ho già chiamato la polizia! Saranno qui a momenti!
L’uomo con la pistola sembrò incerto sul da farsi. Ma il suo compare sbottò:
− Sciocchezze! Quella cabina è vecchia e pure mezza rotta. La conosco bene: il sistema di chiamate di emergenza non funziona bene, ci si mette un sacco di tempo per prendere la linea!
− Stavolta ha funzionato! − mentì Titus.
− Tu sta’ zitto! Slim, mettigli queste e portalo dal capo! Io corro a beccare l’altro, quello grosso!
Il compare dell’uomo con la pistola corse nella direzione di Konrad, e Titus sperò che il suo intervento, se non altro, avesse dato al bavarese il tempo di prendersi un po’ di vantaggio e di riuscire a seminare l’inseguitore.
− Forza, vieni, tu!
L’uomo chiamato Slim lo sospinse davanti a sè, e mentre camminava, gli tenne le mani dietro la schiena e gli chiuse i polsi con un paio di manette. In un paio di minuti raggiunsero il negozio vuoto, e il malvivente lo spinse dentro. Lì, dietro al bancone di quello che doveva essere stato un tempo un negozio di ferramenta, Titus vide una vera voragine: quasi tutto il pavimento  era stato scavato, e sotto al pavimento, in fondo a una buca a forma di piramide rovesciata, quattro uomini erano al lavoro con martello pneumatico, piccone, pala e secchi. Un armadio, riempito per metà di residui di scavo, stava sdraiato sul limitare della buca.
− Capo!
− Li avete presi? − disse una voce, che proveniva dal fondo del pozzo.
− Ce n’ho uno. All’altro sta dando la caccia PJ.
− Sarebbe a dire che vi è scappato?
− Beh, sì, per ora sì... Però non può aver fatto in tempo ad avvisare nessuno, e PJ gli è alle calcagna.
− Ma non lo ha ancora preso, giusto?
− Quando lo prende lo sistema lui. Lo conosco bene, io. Io e PJ lavoriamo insieme da anni!
− Idioti! Sono circondato da idioti! Abbiamo ancora più di un’ora di lavoro da fare, forse due, e corriamo il rischio che la polizia arrivi qui da un momento all’altro!
− Ma... capo...
− Silenzio! Mollate tutto e filiamocela!
− E... PJ?
− PJ! Idiota! Perché non dici ad alta voce nome e cognome, già che ci sei? Se quello non torna indietro in tempo per filarsela con noi,  che si arrangi!
− E... questo tizio?
− Imbavaglialo, legalo e buttalo in fondo alla buca! Meriterebbe che ce lo seppellissimo dentro, ma purtroppo non abbiamo tempo!
I quattro si arrampicarono fuori dalla buca. Anche loro avevano baffi e barbe grigie. Per la fretta il povero Titus non fu ulteriormente legato − aveva già le mani ammanettate − però gli fu infilato in bocca un fazzoletto, fermato con una striscia di stoffa, e subito dopo fu gettato giù nella voragine e rotolò dolorosamente fino al fondo. Laggiù, si mise in ascolto, e udì un gran numero di bestemmie ed improperi, e finalmente motori di automobile e stridore di gomme.

A quel punto Titus si alzò lentamente e tentò di uscire da solo dalla buca, ma con le mani ammanettate dietro alla schiena non gli sembrò una cosa possibile. Per cui si mise a sedere, e pregò che Konrad se la fosse cavata e che qualcuno venisse presto a tirarlo fuori di lì.
Passò abbastanza tempo perché gli venisse l’urgenza di orinare, e ormai si stava chiedendo come diavolo avrebbe potuto fare ad aprirsi la cerniera dei pantaloni con le mani ammanettate dietro la schiena, quando finalmente vide qualcuno affacciarsi dal bordo della buca. 
− Chi c’è, laggiù?
− Hm... Hm... Hm...
Un uomo scese velocemente in fondo alla buca e gli tolse il bavaglio.
− Cos’è successo?
− Una rapina in banca. Volevano forare il soffitto del caveau con un martello pneumatico, passando da qui. Ma io e il mio amico Konrad li abbiamo scoperti, e sono scappati!
− Konrad?
− Sì, è un bavarese, è immigrato in America e lavora per me insieme a suo fratello.
Mentre spiegava questo, Titus si ritrovò le mani libere.
− Ehi, come ha fatto?
− Conosco bene queste manette: sono molto simili a quelle che uso io!
− Lei è un poliziotto?
− No, sono una guardia privata. Abito in questo quartiere e lavoro proprio in questa banca.
Aiutandosi con le mani, Titus e la guardia uscirono dalla buca. Fuori dal negozio il grosso camion era ancora al suo posto. I banditi lo avevano lasciato lì: carico di calcinacci com'era, non sarebbe stato utile per la fuga. Probabilmente lo avevano rubato poco prima di tentare il colpo, pensò Titus.
Udirono una sirena, e poco dopo arrivò una macchina della polizia, seguita subito dopo da una seconda. Konrad scese dalla prima auto, insieme con tre poliziotti, e subito corse incontro a Titus.
− Capo! Sta bene?
− Sì, Konrad, grazie. E tu?
− L’ho seminato, e ho chiamato la polizia dall’ufficio di Mr. Adams, come aveva detto lei.
− Meno male che non era ancora andato via!
− Oh, era andato via, invece, ma io ho sfondato una porta dell’albergo con una delle sedie di ghisa, e sono entrato lo stesso.
− Bravo! Ben fatto!
− Lei è Titus Jones? − chiese uno dei poliziotti.
− Sì, agente, sono io.
− Sono il capitano Vance, − precisò il poliziotto. − E lei chi è? − chiese poi all’uomo che aveva aiutato zio Titus.
− Peter Jenkins, faccio la guardia giurata, lavoro proprio per questa banca. Ho visto il negozio aperto, tracce di scavo, e sono entrato a dare un’occhiata.
A Titus sembrò di udire dentro la testa un campanello d’allarme, anche se non ben identificato. Mentre gli altri poliziotti controllavano l’interno del negozio, il capitano Vance continuò a interrogare Peter Jenkins.
− Ed era in servizio, adesso?
− No, la banca è chiusa ora. Sarò di servizio domani mattina.
− E che ci faceva qui, allora?
− Abito in zona, facevo una passeggiata. Mi piace questa zona del quartiere, così deserta e abbandonata. Mi piace star qui da solo coi miei pensieri.
Titus Jones fissava con attenzione l’uomo in volto, mentre parlava. L’uomo era completamente sbarbato, ma gli sembrò di notare una zona più lucida tra il labbro superiore e le guance.
Titus in gioventù aveva lavorato per un circo, suonando un’organo a vapore montato su un carretto, all’interno del tendone oppure in giro per la città per far pubblicità agli spettacoli. Lui e gli altri figuranti del circo dovevano spesso indossare costumi e travestimenti, incluse barbe e baffi finti. E quando uno si toglieva barba e baffi finti, per ore i residui del collante lasciavano la pelle più liscia e lucida.
Titus prese la parola:
− I malviventi mi avevano ammanettato, ma il signor Jenkins mi ha liberato dalle manette.
− E dove sono, ora, queste manette? − chise il poliziotto, rivolto al signor Jenkins.
− Non lo so! Le ho date a lui! − rispose questi, indicando Titus Jones.
Zio Titus respirò a fondo, poi disse:
− No, sono sicuro che non me le ha date. O le ha ancora addosso, o se ne è disfatto da qualche parte qui in giro. Capitano, temo proprio che quest’uomo sia uno dei rapinatori, quello che ha inseguito Konrad, senza riuscire a prenderlo.
− Ma cosa dice? − protestò l’uomo.
− I suoi complici hanno nominato un certo PJ, li ho sentiti. E PJ sono proprio le iniziali di Peter Jenkins. PJ ha detto di conoscere bene la cabina telefonica, per cui vive o lavora da queste parti, o entrambe le cose. È lui PJ: è tornato a casa e si è cambiato in fretta e furia, e poi è venuto qui per sviare i sospetti da sé stesso. 
− Non è vero!
 E si è anche tolto baffi e barba finti, ma può darsi che non abbia fatto in tempo a disfarsene, forse sono ancora a casa sua. Se si fa attenzione si vede ancora che li ha indossati fino a poco fa.
Peter Jenkins si accarezzò il labbro superiore, scuotendo la testa.
− Tutto questo lo vedremo insieme in centrale, − disse il capitano. − Ma non capisco cosa c’entra la sparizione delle manette.
− Me le ha messe un’altro dei malviventi, un certo Slim...
− Slim è solo un soprannome, ed è molto comune, − protestò  Jenkins.   Uno che si fa chiamare Slim, potrebbe essere chiunque! 
− Slim ha poi detto al “capo” di conoscere bene PJ e di lavorare con lui. È probabile che Slim sia un’altra guardia giurata che lavora per la banca, e le manette che ha usato gliele ha date PJ: forse avrebbero potuto condurre a lui. Per questo PJ le ha fatte sparire!
− Ma insomma! Io non sono PJ!
− Sicuro? Questa storia è da verificare in centrale, insieme con le vostre deposizioni, andiamo!
− Un momento! − disse Titus Jones.
− Cosa c’è?
− Devo prima trovare un bagno. Vi prego, è urgentissimo!

Erano ormai le cinque del pomeriggio, quando Titus e Konrad terminarono di rendere le loro deposizioni alla polizia di Los Angeles. Intanto le manette scomparse erano state ritrovate sotto un’auto parcheggiata, e a casa di Jenkins era stato trovato anche il necessario per travestirsi. PJ, la guardia giurata, era in stato di arresto, e il suo collega, cui ben calzava il soprannome di Slim, era ricercato. Il capitano Vance riteneva probabile che PJ presto o tardi avrebbe confessato, e avrebbe detto anche i nomi del capo e degli altri complici della tentata rapina.
Nel frattempo Hans aveva raggiunto i nostri eroi alla centrale. Aveva preso il camion grande alla Bottega del recupero, ma aveva tardato perché c’era una gomma a terra e aveva dovuto sostituire la ruota prima di partire. Poi, non trovando nessuno ad attenderlo all’ex-hotel, aveva dato un’occhiata in giro e aveva trovato gli uomini della polizia scientifica al lavoro intorno al negozio e alla banca. Così aveva saputo dov’erano finiti suo fratello e zio Titus.
− Dovete rimanere a disposizione della polizia nei prossimi giorni, ma mi sembra che tutto sia stato chiarito, per ora, − disse il capitano Vance. − Mi complimento con voi due: siete dei cittadini modello, avete sventato un crimine. Vi ringrazio a nome della città di Los Angeles! E se c’è qualcosa che posso fare per voi...
− Sì, capitano Vance! − rispose Titus. − Potrebbe prestarmi il telefono, per favore? Abbiamo fatto tardi e mia moglie sarà in pensiero.  
− Ma certo. Prego.
Titus Andronicus Jones prese il telefono, ma quando lo ebbe in mano, dopo un secondo di indecisione, anziché il numero di casa, compose il numero degli Andrews.

− Pronto? Bob, passami Jupiter: oggi lo farò morire d’invidia! Jupe? Ciao, sono zio Titus! Ti sto chiamando dalla centrale della polizia di Los Angeles! Sai qual è la novità? Ho risolto un caso poliziesco anch’io!

2 commenti:

  1. Molto simpatico, e anche molto ben scritto, come il precedente racconto ( peccato che nessuno dei due presenti elementi in apparenza soprannaturali...d'altra parte, nemmeno tutti i romanzi dei 3I li presentavano ).
    In conclusione, complimenti a "Mr. Robertson" !

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  2. Farò presente il tuo apprezzamento a Mr. Robertson

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